Giusi Montali
Fotometria
Immagine di copertina: Nicola Cavallaro
In solo apparente antitesi col titolo, che afferisce ad ambiti di immaterialità assoluta (teoria corpuscolare a parte), il tracciato di Fotometria si sviluppa insistendo prepotentemente sulle declinazioni del corpo e da esso (corpo-esistenza, corpo-identità) pare generarsi. Lo stesso procedimento compositivo ingaggia un tesissimo pòlemos tra il linguaggio, come zavorrato dalla ricorsività ossessiva di certi lemmi-pania (l’area semantica includeparti e membra: lingua, ossa, pelle, sangue, braccia, gambe…), e l’impeto ad infrangere, a varcare, per disarticolazione[5] sovente crudele il MIO MAGMA DELLO STARE | MIO VIOLENTO ANDARE | MIO RESTARE DI FORZA | NELLA NOTTE CHIUSA […] – leggi il maiuscolo come massa inerziale, più che grido.
[...] Dis-fare il corpo è ovviamente ripudio di quanto in esso sia convenzione sociale, istituto (familiare anzitutto, e ne parleremo), pubblico dominio tradotto dalle immagini dell’involucro o del carcere – di quel platonismo di risulta, cioè, corrivo e violentemente autoritario che esiliando o incarcerando il corpo ha anestetizzato la parola, sottraendone anima ed esistenza. Il discorso di Montali procede da qui, da un’insistenza quasi glossolalica (ancora Artaud) sui termini dello smembramento, per restituire il corpo a una soggettività rifondata per espansione e propaggine. (Luca Pasello, dal sito Poesia 2.0)
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